Lo scorso primo aprile pubblicavamo un articolo a firma del dott. Emilio Corvino in cui veniva smontato un ragionamento che in quei giorni circolava sulle reti di messaggistica e che sosteneva che il numero di decessi nel primo trimestre del 2019 fosse superiore a quello del primo trimestre 2020, deducendone l’inutilità delle misure di lockdown attualmente in corso. Il dott. Corvino, in particolare, mostrava come le fonti di quel conteggio fossero tutt’altro che affidabili.
Quell’articolo ha sballato – in positivo – le statistiche di questo sito, nato nemmeno un mese fa e senza nessuna aspirazione se non quella di essere un esercizio di riflessione. Il che ci fa piacere, ma ci fa soprattutto intuire la fame che c’è in giro di ragionamenti precisi e articolati.

Il 17 aprile sul Sole 24 Ore appare un articolo a firma di Paolo Becchi e Giovanni Zibordi che, con stile solo apparentemente più scientifico delle immagini specchietto-per-le-allodole che girano su Whatsapp, sostiene in buona sostanza la stessa cosa, e lo fa basandosi sia su dati Istat sia su quello stesso sito la cui autorevolezza avevamo messo in discussione:
In Italia siamo circa in 60 milioni, abbiamo 650 mila decessi l’anno e circa 230 mila decessi nel periodo gennaio-aprile e quest’anno, in base ai dati Istat, non si riscontra un aumento complessivo di mortalità rispetto agli anni precedenti. (sito italiaora.org) […] In parole povere, in base ai dati pubblicati finora, non è morta più gente quest’anno rispetto agli anni precedenti in Italia nel suo complesso.
Apriti cielo.
Nella stessa giornata il Sole 24 Ore si affretta a pubblicare, attraverso la sua agenzia stampa, un breve comunicato dell’Istat che senza troppi giri di parole afferma che tra il 1 marzo e il 4 aprile 2020 c’è stato un incremento dei decessi del 20% rispetto al dato medio 2015-2019.
Il giorno dopo, la Responsabile dell’Ufficio Stampa dell’Istat, Patrizia Cacioli, scrive al Direttore in relazione al pezzo di Becchi e Zibordi, sostenendo che all’Istat sono rimasti “di stucco per il numero di imprecisioni e errori ivi contenuti” e suggerendo “agli autori dell’articolo di utilizzare sempre fonti ufficiali di dati per le loro analisi e non quelli tratti da fonti non accreditate (come il sito italiaora.org)”.
Ma non finisce qui.
In calce all’articolo di Becchi e Zibordi – che, si sarà capito, è del tutto infondato – appare un comunicato sindacale in cui il Comitato di Redazione del Sole 24 Ore “prende con fermezza le distanze dai contenuti di questo intervento” pur non chiedendone la cancellazione. Il Cdr chiede però alla Direzione “massima attenzione nella selezione dei contenuti che la testata ospita”. E più sotto parte uno scroscio di commenti, in buona parte assai critici: mentre scriviamo ne contiamo 247.
Ma chi sono gli autori?
Partiamo dal secondo: Giovanni Zibordi. Il Sole lo definisce trader e consulente manageriale e finanziario. Si scopre facilmente che è gestore di “uno dei siti finanziari più noti in Italia” e che “ha anche tre anni di dottorato in economia a Roma” – che è quello che di solito si dice quando non si è discusso la tesi. Il noto sito si chiama Cobraf, è strutturato come un forum (pur avendo una parte ad accesso riservato) e scorrendolo rapidamente saltano agli occhi alcune chicche, come per esempio la categoria “cabale di potere, clan, illuminati, ebrei, massoni” nella sezione “Politica Società”:

Scavando nella categoria “CORONA VIRUS”, invece, scopriamo che il primo nucleo del pezzo poi uscito sul Sole risale al 6 aprile, e che originariamente doveva essere pubblicato sul Corriere, il quale però non ne ha gradito “l’impostazione”:

Del resto lo stesso Zibordi lo afferma – con poca eleganza, ahinoi – su Twitter, beccandosi però 70 retweet e 129 like mentre scriviamo. L’account Twitter di Zibordi è un’altra miniera di chicche, come per esempio le traduzioni un po’ inventate dei tweet di Laura Ingraham, la nota presentatrice di estrema destra americana, proprio quella Laura Ingraham di recente umiliata dal dott. Anthony Fauci:

AGGIORNAMENTO DEL 19-04, ore 13.00: un’altra chicca è apparsa sul profilo Twitter di Zibordi: l’attestato di stima (in Italiano) del premio Nobel (canadese) per l’economia del 1999, Robert Mundell. Da un account però palesemente falso…

Paolo Becchi invece è ordinario di Filosofia del Diritto all’Università di Genova. Per chi avesse avuto la sorte di non incappare nella sua provocatoria presenza in qualche talk show nostrano, la sua biografia su Wikipedia, la lista delle sue pubblicazioni e il suo blog parlano chiaro. Ex ideologo del M5S e ora vicino alla Lega di Salvini, editorialista del quotidiano antifrastico Libero, “ha introdotto nel dibattito politico la categoria del ‘sovranismo’”.
Insomma.
E i giornalisti?
Se Zibordi nel suo sito si mostra “sinceramente curioso di verificare se c’è un errore nei dati e calcoli” allora dobbiamo desumere che è non è tra quei tremila e passa visitatori che hanno letto la spiegazione del dott. Corvino pubblicata già quasi 20 giorni fa. È un peccato, non sapremo mai se in qualche universo parallelo la lettura di quell’articolo lo avrebbe convinto a non mandare il suo testo né al Corriere né al Sole 24 Ore.
Quello che fa specie però, e che fa sorgere diverse domande, è che una testata come il Sole 24 Ore non abbia fatto alcuna verifica, a differenza del Corriere, prima di pubblicare un articolo palesemente infondato non solo nell‘impostazione ma anche nella scelta delle fonti e nell’interpretazione dei dati piegata evidentemente a una tesi prestabilita. Perché?
Incompetenza? Incuria? Distrazione? Qualche farraginosità nella catena di comando? Un mix di tutto ciò? Oppure c’è dell’altro? Lungi da noi alimentare dietrologie, tuttavia le note posizioni politiche degli autori e le loro molteplici pubblicazioni precedenti avrebbero dovuto per lo meno attivare qualche campanello d’allarme non tanto sulle opinioni economiche degli stessi quanto sulla metodologia di lavoro.
La pubblicazione di un pezzo così sconcertante su una testata tutto sommato prestigiosa come il Sole 24 Ore non può considerarsi come una rara anomalia, ma come l’ennesima prova, se ancora ce ne fosse bisogno, dell’urgenza di ripensare le logiche e le pratiche del giornalismo nostrano, e di fondare quanto prima un’ecologia dei media e dell’informazione.