L’annuncio di oggi di essere positivo al Coronavirus è solo la ciliegina sulla torta della già martoriata reputazione di Boris Johnson, Primo Ministro del Regno Unito. Di un politico la cui cifra stilistica è inferiore a quella di un clown ubriaco si è detto tanto, e forse l’analisi più accurata l’ha fatta John Oliver nella puntata di Last Week Tonight che gli dedica, in cui spiega che è proprio il suo modo di fare piacione ciò che lo rende popolare.
Ma una cosa è l’immagine, un’altra è l’effettiva capacità di guidare la quinta economia mondiale, per giunta nella fase dolorosa del divorzio dall’Unione Europea. Se è lecito e doveroso chiedersi come possa il vertice del potere esecutivo inglese svolgere le sue funzioni quando è vittima di un virus potenzialmente letale – non fosse che per le possibili conseguenze psicologiche della condizione di malato – lo è ancor di più quando cominciano a circolare voci che riguardano le sue capacità cognitive.
Il 23 febbraio il Sunday Times lancia l’amo: agli assistenti del Primo Ministro viene chiesto di preparare dei memos di massimo 4 pagine, meglio se solo due, “o non li leggerà mai“. Rincara la dose il Daily Mail nel corso della stessa giornata, citando una fonte del Governo che parla di “ADHD” (Attention Deficit and Hyperactivity Disorder, ossia Disturbo da deficit di attenzione/iperattività). Su Forbes (non esattamente un volantino marxista-leninista) prendono la palla al balzo, dopo qualche giorno, per dare credito ai “sussurri” che vogliono il Boris Johnson affetto da ADHD.
Il tema non era nuovo, tuttavia, nella stampa critica del suo governo. Già nel luglio del 2019 il Guardian raccontava che
[…] L’aspetto più importante dello stile di lavoro di Johnson è la sua mancanza di attenzione ai dettagli […] Il budget della Città di Londra del 2014-2015 (di cui Johnson era sindaco al tempo, n.d.r.) fu in realtà firmato dal suo capo di gabinetto, Eddie Lister, e recava attaccato un appunto scritto a mano che diceva “mostrato al sindaco e approvato”
La questione, naturalmente, va al di là dell’aspetto diagnostico dell’uomo Boris Johnson, e riguarda il rapporto tra attenzione e gestione della complessità. È difficile immaginare un’attività che richieda una capacità di comprensione e gestione della complessità maggiore di quella che ci vuole per governare una nazione. Certo, Johnson non è solo in quest’impresa, come non lo è nessuno capo dell’esecutivo; ma in lui risiede, per così dire, la responsabilità ultima di ciascuna decisione presa. E di fronte a questa responsabilità ci si aspetterebbe che l’uomo che se l’assume non solo sia preparato a farlo dallo studio e dall’esperienza, ma soprattutto che sia cognitivamente in grado di farlo. Come si fa, altrimenti, a prendere decisioni su temi che riguardano la vita di milioni di persone?
Il minimo che si deve esigere dai nostri governanti è che facciano attenzione. Ed ecco perché l’attenzione è ben più che una faccenda individuale, ma una centrale questione politica.